La cistite interstiziale, chiamata anche sindrome del dolore pelvico, è una malattia cronica della vescica che provoca dolore, urgenza e frequenza nella minzione.Nonostante in media fino a pochi anni fa occorresse un tempo medio di 5 anni per giungere ad una diagnosi di cistite interstiziale, oggi i tempi sono un po’ cambiati, internet ha permesso di abbreviare i tempi di trasferimento delle informazioni, tuttavia la diagnosi di questa condizione eterogenea, meglio definibile come cistite interstiziale/sindrome del dolore vescicale (IC/PBS, Interstitial Cystitis/Painful Bladder Syndrome) secondo le raccomandazioni internazionali, non è facile, deve inoltre esistere la consapevolezza di sospettarla.Piuttosto “sfaccettate” le modalità con cui i sintomi, vari e con sfumature spesso diverse, compaiono ed evolvono poi nel tempo, inoltre la complessità spesso nasce dalla varietà di altre condizioni che si associano a questa malattia, per motivi ancora da chiarire, e che riguardano organi ed apparati anche lontani dalla vescica.La componente “dolore”, introdotta giustamente nella definizione, viene vissuta spesso in modo differente nella singola persona, e ciò spiega in parte alcune differenze nella manifestazione clinica, l’altro elemento è che si inizia ormai a considerare la condizione un problema, se non sistemico, comunque coinvolgente organi e apparati diversi, il che condiziona il trattamento, necessariamente multimodale.Nonostante il nome, la cistite interstiziale è ben diversa dalla comune cistite, causata da batteri specifici. Essa è provocata da un’alterazione cellulare delle pareti della vescica, la cui causa è ancora ignota. Le lesioni di natura multipla dell’epitelio interno, a contatto con gli acidi presenti nelle urine, comportano un aumento della sensibilità nervosa locale che regola il dolore e incrementa la ricezione dello stimolo ad urinare a livello d’organo.
90% nel sesso femminile, tutte le età sono interessate. Le stime di prevalenza, non semplici per l’assenza di criteri diagnostici certi condivisi, registrano un incremento costante, come mostrano i dati negli USA a partire dal 1975: 18/100.000; 1995: 67/100.000; 2005: 230/100.000. La malattia sembra non risparmiare neanche l’età pediatrica[1].
Sono diversi i punti oscuri che riguardano l’eziopatogenesi, il meccanismo di insorgenza della IC/PBS. A volte si può identificare un evento scatenante, una infezione delle vie urinarie, un intervento chirurgico, una malattia virale, un evento traumatico. Una sensazione di dolore/fastidio/pressione vescicale spesso diviene preminente. In un modello animale (felino) si è osservato che esiste uno squilibrio tra la produzione ormonale di cortisolo ed il sistema nervoso simpatico, che risulta iperattivo, come indica l’aumentata produzione di ormoni della corteccia surrenalica. Una insufficiente o alterata composizione dello strato di GAGs (glicosaminoglicani) della parete vescicale può esporre la sottomucosa alla azione di sostanze dannose o irritanti contenute nelle urine, o di agenti patogeni in grado di evocare una risposta infiammatoria.
La involuzione del “coating” uroteliale e la conseguente possibile diffusione di molecole “nocive” contenute nelle urine possono raggiungere ed attivare i mastociti sottouroteliali ed innescare una serie di reazioni “neuro-immuno-endocrine”. Questa sequenza ha il pregio di cercare una spiegazione unificante: esiste infatti spesso un disordine del sistema immunitario, come l’aumento di cellule mononucleate, linfociti T e B, i fattori del complemento CD4 e CD8 nel’urotelio, gli autoanticorpi ANF, e l’attivazione dei mastociti, che solitamente si osserva in risposta a stimoli di natura allergica per ipersensibilità di tipo 1, oppure in risposta a stimoli non-allergici (Coli fimbriati, sostanza P, tossine batteriche, virus del morbillo). La “up-regulation” delle afferenze sensitive vescicali è all’origine dei sintomi urgenza-frequenza e/o dolore. Un ulteriore contributo alla comprensione di questa patologia, della prostatite cronica abatterica maschile, e quindi della triade/circolo vizioso che le contraddistingue “tensione-ansia-dolore”, è il ruolo attribuito da Wise e Anderson allo stato di contrazione cronica della muscolatura del pavimento pelvico, condizionante ipossia ed attività in anaerobiosi, e come conseguenza stato disfunzionale e dolore.
La raccolta della storia clinica deve essere dettagliata, e accompagnata dall’esame fisico e dagli esami di laboratorio e strumentali più idonei in ciascun caso. Tipicamente vengono riferiti aumento della frequenza minzionale, da 8-10 volte fino a oltre 30 volte nelle 24 ore, inoltre urgenza, e dolore variamente descritto come bruciore/fastidio/peso in regione vescicale-perineale-uretrale-vaginale. Certi cibi o bevande possono risvegliare il dolore, lo svuotamento della vescica lo riduce, riducendosi la distensione delle sue pareti. Spesso esiste dispareunia, e la urocoltura è negativa, anche se la disfunzione uroteliale esistente può rendere più facile il recidivare di infezioni batteriche delle vie urinarie. Questi sintomi dovrebbero indurre a sospettare la CI/PBS. L’esame pelvico consente di evocare dolorabilità in regione sovra pubica, della parete vaginale anteriore e della base vescicale, oltre ad un ipertono del muscolo elevatore dell’ano, rilevabile con esplorazione vaginale (sesso femminile) o rettale (sesso maschile).
Tale ipertono molto spesso è responsabile di una difficoltà nello svuotamento della vescica, che si esprime con una minzione a volte prolungata, che richiede la contrazione del torchio addominale per essere completata, e può avvenire in più tempi. Il cotton swab test permette di valutare la vulvodinia, che può concomitare in una parte dei casi. La relazione fra le due condizioni è significativa, ed ha implicazioni negative sulla funzione sessuale. Dovrebbero far pensare a questa diagnosi anche una storia riferita di “cistiti ricorrenti” senza risposta apprezzabile alla terapia antibiotica, un dolore cronico in sede pelvica non spiegabile con altre patologie, nel sesso maschile una prostatite cronica abatterica (CPPS), oppure sintomi attribuiti a “vescica iperattiva” non modificati dalla terapia anticolinergica. Edema ciclico idiopatico ortostatico Malattie allergiche (asma etc.).
Come anticipato, la raccolta accurata dell’anamnesi e l’esame fisico consentono di poter sospettare tale condizione. Si possono riconoscere due tipi di CI/PBS, la forma non ulcerativa, più comune, caratterizzata dalla presenza di “petecchie emorragiche” che compaiono con la cistoscopia e distensione vescicale, osservabile nel 90% dei casi, anche se tale procedura comporta sia falsi positivi che falsi negativi. Nel 5-10% dei casi mediante cistoscopia si può rilevare una o più lesioni ulcerative della mucosa vescicale. I criteri diagnostici sono tutt’ora in corso di ridefinizione, esistono anche dei markers diagnostici, anche se per ora sono impiegati prevalentemente per uso investigativo, sono l’APF (anti proliferative factor), l’HB-EGF (heparin binding epidermal growth factor), GP51, EGF.
Patologie concomitanti -Sindrome del colon irritabile, Fibromialgia, Sindrome della fatica cronica, Vulvodinia, Fenomeno di Raynaud, Cefalea cronica, Sindrome di Sjögren, Tiroidite cronica autoimmune, Ipersensibilità chimica multipla (MCS), Endometriosi, HPV.
Non esiste una terapia risolutiva in tutti i casi identificati, esistono tuttavia varie terapie disponibili, il trattamento standard è multimodale, varie modalità di trattamento, farmacologiche e non, sono in via di sperimentazione, e pertanto soggette ad aggiornamento continuo. Gli obiettivi del trattamento sono:
Fibromialgia, colon irritabile, malattia infiammatoria intestinale (PID), vulvodinia, endometriosi, cefalea, allergie, malattie autoimmuni, sindrome della fatica cronica, sindrome della ipersensibilità multipla a sostanze chimiche.
L’incontinenza urinaria è definita come perdita involontaria di urina (pipì) attraverso l’uretra, perdita che deve essere osservabile e di entità tale da creare un disagio psicofisico alla persona che si ripercuote poi sul suo stile di vita.
Di norma le perdite involontarie di urina inizialmente vengono vissute come dei semplici malesseri, ma nel lungo periodo e di solito con un peggioramento si trasformano in disagio psicologico profondo che alimenta un sentimento di inadeguatezza, di imbarazzo e di vergogna: la persona arriva pian piano ad isolarsi perché il problema si dimostra fortemente condizionante. Inoltre la diffusa credenza, peraltro sbagliata, che l’incontinenza sia associata solo all’invecchiamento contribuisce a tenere nascosta la problematica. La persona colpita evita magari i luoghi sconosciuti in cui non ha la certezza della disponibilità dei servizi igienici, spesso limita i rapporti sociali perché ha paura di avere odore di urina oppure limita o rifugge i rapporti sessuali, o semplicemente il dovere portare il pannolone è causa di depressione.
Se l’incontinenza urinaria non è pericolosa per la salute, se non in casi gravi in cui il quadro clinico è più complesso, si può affermare con certezza che abbassa la qualità della vita.
Diagnosticando in tempo questo disturbo si possono ridurre drasticamente i disagi ed in molti casi lo si può risolvere completamente.
Non esistono statistiche ufficiali in merito, tuttavia alcune stime parlano di 2,5 milioni di persone, solo in Italia, che soffrirebbero di incontinenza; ed inoltre si stima che almeno il 50% della popolazione anziana ne sia colpita.
Il sesso femminile è quello che ne soffre maggiormente.
La vescica funziona come un serbatoio le cui funzioni sono quelle di raccogliere ed espellere le urine.
Normalmente un individuo:
Il paziente che soffre di incontinenza urinaria non riesce ad effettuare questi passaggi. Ma vediamo in sintesi come viene classificata l’incontinenza:
Queste forme sono le più comuni, tuttavia ne esistono di altre,anche se più rare:
E’ possibile anche che si verifichi uno sgocciolio appena dopo avere terminato la minzione.
Abbiamo visto che il disturbo colpisce soprattutto in età avanzata, cioè sopra i 60 anni, tuttavia si può presentare a qualsiasi età: infatti un significativo 20% dei casi riguarda le donne al di sotto dei 30 anni e ben il 40% riguarda donne con età compresa tra i 30 e i 50 anni.
Cerchiamo ora di fare luce sugli aspetti e sui fattori che determinano una così alta percentuale di casi di incontinenza urinaria fra le donne. Sicuramente una serie di fattori sono anche legati all’anatomia femminile.
Fra i fattori che facilitano l’insorgenza del disturbo possiamo elencare:
Esistono poi fattori che aumentano il grado di incontinenza:
Oltre a questi tipi di fattori ne esistono altri più legati alla predisposizione dell’individuo:
Per quanto riguarda il sesso femminile la competenza medica del disturbo si spartisce tra la figura del ginecologo e quella dell’urologo. In realtà da un po’ di anni è stata creata la figura dell’uroginecologo, che risulta essere lo specialista di riferimento nei casi ci sia necessità di intervenire con un approccio diagnostico e terapeutico impegnativo.
Esistono in pratica due ordini di intervento, raccomandati dalla Società Italiana di Urologia: il primo, più semplice, può essere gestito tranquillamente dal ginecologo o dall’urologo perché non invasivo, il secondo invece, essendo più invasivo (si parla anche di terapia chirurgica), dovrebbe essere gestito dallo specialista uroginecologo o l’urologo con specializzazione specifica.
In altre parole le pazienti possono essere divise in due categorie:
Il primo passo è quello dell’anamnesi patologica che mira a scoprire se la paziente soffre di una patologia di base, come può essere l’ipertensione, se assume farmaci particolari, se ha mai subito interventi uro-ginecologici anche per incontinenza già conclamata: di solito in quest’ultimo caso si rimanda la paziente dallo specialista.
Un secondo passo è quello della descrizione e della quantificazione dei sintomi che si esegue sottoponendo alla paziente dei questionari specifici atti a valutare anche il grado di benessere della persona: fisico, psichico e sociale. Dai questionari emerge anche il grado d’importanza che ha per la paziente la risoluzione del problema, cioè la motivazione a trovare un rimedio. Il terzo passo, quello più complesso, è l’esame obiettivo che ha lo scopo di rilevare praticamente l’incontinenza, di dimostrare la presenza di un prolasso genitale o di individuare un’eventuale patologia correlata.
L’esame obiettivo in pratica consiste nell’esame pelvico in cui si osservano ed esplorano le pareti vaginali per determinare la presenza di un eventuale prolasso, quindi si quantifica se presente, successivamente si valuta la mobilità uretrale, la tonicità e la forza contrattile del muscolo elevatore dell’ano tramite il test pubococcigeo e la sensibilità perineale ed il tono del muscolo sfinterico anale. Infine, tramite lo stress test a vescica piena, la paziente è invitata a tossire sia in posizione ginecologica che in posizione eretta e l’esaminatore ricerca l’eventuale perdita di urina. Questo test risulta essere positivo nel 90% di casi di donne che soffrono di incontinenza da sforzo, quindi risulta abbastanza attendibile.
Fanno parte dell’esame obiettivo anche l’esame delle urine e l’urocoltura, l’ecografia delle vie urinarie, il diario delle minzioni in cui vengono registrate il numero, il volume e l’orario appunto delle minzioni in relazione anche ai volumi dei liquidi ingeriti, ed il test del pannolino.
L’esame pelvico viene condotto con la paziente in posizione ginecologica e mentre le si chiede di spingere l’esaminatore ha cura di ricercare eventuali perdite di urina esplorando la regione vulvare e successivamente le pareti vaginali tramite speculum per controllare la presenza di prolasso.
Il prolasso genitale si manifesta in diversi modi, tuttavia il sintomo più comune è il senso di fastidio e di pesantezza al basso ventre accompagnato spesso, oppure si ha solo la sensazione che questo avvenga, da una protrusione all’esterno della vagina, soprattutto in condizioni di sforzo o semplicemente dopo essere state molto tempo in piedi o in bagno.
I farmaci consigliati per l’incontinenza da urgenza e per la Sindrome della Vescica Iperattiva sono gli anticolinergici a base di solifenacina (Vesiker) e di tolterodina (Detrusitol). Queste molecole agiscono durante la fase di riempimento della vescica impedendone le contrazioni. Come effetti collaterali si può avere secchezza delle fauci, nausea, visione offuscata, stipsi e dispepsia.
Per il trattamento dell’incontinenza modesta da sforzo sono indicati i farmaci inibitori della ricaptazione della noradrenalina e della serotonina a base di duloxetina (Cymbalta, Xeristar, Yentreve). Dopo la loro assunzione si registra un aumento di serotonina e di noradrenalina a livello del midollo spinale che, sollecitando il nervo pudendo, aumenta la contrazione dello sfintere uretrale impedendo così la fuori uscita accidentale di urina. Gli effetti collaterali sono nausea, diarrea, insonnia, secchezza delle fauci, cefalea, ritenzione idrica, sanguinamento.
L’intervento chirurgico è da considerarsi un trattamento avanzato e deve essere deciso dopo un esame diagnostico approfondito e possibilmente eseguito da uno specialista; in questo caso, oltre alla ricerca del prolasso, si effettueranno esami strumentali specifici come la cistoscopia e la cistouretrografia minzionale.
Il trattamento dell’incontinenza urinaria di I livello, quella appunto più comune e non grave, trova un ausilio importante nella terapia conservativa, terapia che si avvale di un processo di counseling e di riabilitazione.
Il counseling in generale è una relazione d’aiuto in cui il counselor, con la sua attitudine ed esperienza, riesce a portare la persona verso un cambiamento positivo del suo modo di vivere generando benessere totale e nello specifico l’attenzione sarà rivolta al regime alimentare, allo stile di vita familiare e sociale.
Ad esempio alcune buone norme da osservare per le pazienti che soffrono di incontinenza riguardano proprio la dieta e le abitudini sbagliate:
Molto importante è l’aspetto riabilitativo, che mira a rendere di nuovo la persona capace di controllare la ritenzione dell’urina. E’ un processo che deve essere personalizzato e consiste nel riallenare i muscoli del perineo, cioè la zona che si trova tra l’ano e la vagina, tramite alcuni esercizi che vengono già proposti in alcuni corsi preparto e consigliati anche nel periodo del post partum. Il 60-70% delle pazienti riscontra un miglioramento e, nel caso di incontinenza lieve, si ha quasi sempre una risoluzione totale del problema. Nei casi gravi tramite la terapia riabilitativa si può arrivare ad evitare l’intervento chirurgico.
In particolare la fisiochinesiterapia si avvale di esercizi sia attivi che passivi che agiscono sulla muscolatura del pavimento pelvico: gli esercizi vanno eseguiti cercando di coordinare la postura ed il respiro. L’obiettivo è quello di tonificare i muscoli, di migliorare il riflesso della chiusura perineale in seguito a sforzo, di migliorare la sensibilità nel perineo in generale. Questi esercizi possono e devono essere eseguiti quotidianamente dalla paziente, anche da sola. Sono di solito necessari almeno 2 mesi prima di vedere qualche risultato, è comunque indispensabile l’impegno e la costanza della persona nell’effettuare gli esercizi consigliati.
Il bladder training (ginnastica della vescica) è un processo educativo costituito da esercizi simili a quelli già utilizzati nella fisiochinesiterapia, che però sono accompagnati anche dalla tenuta di un diario in cui la paziente registra le minzioni e dall’insegnamento a regolarizzare l’ingestione di liquidi con il fine di ridurre il numero complessivo delle minzioni. Il diario è un elemento importante perché serve a coinvolgere attivamente la paziente ed è un ottimo strumento di autoverifica dell’andamento della terapia ,che agisce di solito nell’arco di 2 o 3 mesi. Il bladder training è indicato nei casi di incontinenza mista e nella Sindrome della Vescica Iperattiva.
Esistono poi altre tecniche strumentali che però hanno alcune controindicazioni, ad esempio non possono essere praticate in gravidanza, in caso di malattie infiammatorie dell’apparato urogenitale o di neoplasie locali non trattate.
Vediamo in sintesi queste tecniche:
Tutte queste tecniche in sostanza mirano a:
Nella donna gli abbassamenti degli organi pelvici,iprolassi urogenitali,secondari ad alterazione della statica pelvica,si possono complicare con incontinenza urinaria,infezioni locali e urinarie e,nei gradi piu’ avanzati, con idroureteronefrosi evento temibile che mette a rischio la funzione renale.
Necessitano di correzione per via trans vaginale o video laparoscopica,in anestesia loco regionale o generale,con degenza di 1-3 giorni.
La incontinenza urinaria femminile schematicamente puo’ comparire sotto colpi di tosse,sollevando pesi,salendo le scale e tutte le situazioni che aumentano la spremitura del torchio addominale. Si configura cosi’ il quadro patologico della incontinenza urinaria da stress,stress incontinence.
Altro quadro patologico è la incontinenza urinaria da urgenza,urge incontinence.In questa situazione vi è improvviso stimolo minzionale che induce a correre in fretta con il rischio di farsela addosso prima di arrivare in bagno.
Vi è inoltre una terza patologia a componente mista delle due precedenti.
La urge incontinence si cura di norma con terapie mediche e/o fisiche.
La incontinenza urinaria da sforzo,stress incontinence,se non risponde alle terapie mediche,necessita di intervento chirurgico mininvasivo per via trans vaginale.Intervento effettuabile in day surgery con apposizione di sling sottouretrale.
Tali interenti per incontinenza urinaria e per prolassi femminili possono essere eseguiti anche per via video laparoscopica con il vantaggio di non aggredire la parete vaginale ovviando cosi’ alle rare ma pur presenti sequele come il dolore nei rapporti sessuali.
La incontinenza urinaria maschile insorge dopo interventi di prostatectomia radicale o cistectomie con ricostruzioni neovescicali o anche dopo interventi di resezione endoscopica o asportazione trans vescicale della ipertrofia prostatica benigna.
In primis si esegue terapia medica e riabilitativa e,se inefficaci,si eseguono poi posizionamento di sling sottouretrali o di sfinteri artificiali necessitano di ricovero di 1-3 giorni,eseguiti in anestesia locale o loco regionale.